Nell’ambito della cronaca musicale italiana, una notizia ha scosso il mondo del trap, dando vita a polemiche e dibattiti. Baby Gang, un noto trapper, è al centro di un caso giudiziario che ha catturato l’attenzione di milioni di fan e detrattori, mettendo in discussione il confine tra arte e giustizia. La difesa del giovane artista, Zaccaria Mouhib, di soli 23 anni, sta cercando di rovesciare una sentenza che lo ha condannato a una pena significativa, evidenziando aspetti controversi sia del processo che della sentenza.
Il gup di Milano, Tommaso Perna, ha emesso una condanna di tre anni e quattro mesi di reclusione per Baby Gang, ritenendolo colpevole di resistenza a pubblico ufficiale. Tuttavia, la difesa ritiene che tale pena sia eccessiva e poco giustificata. Nel ricorso, gli avvocati sostengono che l’immagine proposta dal tribunale dipinge il giovane non come un artista che esprime la sua verità attraverso la musica, ma piuttosto come una figura che incita alla ribellione e alimenta sentimenti negativi nei confronti delle istituzioni. Secondo loro, questa visione è fuorviante e non riesce a cogliere l’essenza creativa della sua arte.
Baby Gang stava semplicemente seguendo una carriera in rapida ascesa, con milioni di follower e concerti sold out. Il suo stile musicale, a detta della difesa, riflette esperienze di emarginazione e disagio sociale, non un incitamento alla violenza. Ciò che è avvenuto il 10 aprile 2021, durante la realizzazione di un video musicale, è stato invece descritto dai legali come un episodio di malintesi e fraintendimenti.
Il caso si ricollega a quanto accaduto in una giornata di aprile a Milano, dove circa 300 persone si erano radunate in zona San Siro per assistere, tra l’altro, alle riprese di un video musicale del trapper Neima Ezza, amico e collega di Baby Gang. Le indagini parlano di disordini, lanci di oggetti e momenti di tensione con le forze dell’ordine. Gli avvocati di Baby Gang, però, sollevano interrogativi su come siano stati interpretati questi eventi dai giudici. La questione centrale sembra essere la responsabilità diretta di Baby Gang in questi fatti.
Secondo gli avvocati, non esistono prove concrete che possano incastrare il giovane trapper. Non ci sono filmati che lo mostrano mentre lancia oggetti, e non vi è alcuna prova che lo colleghi direttamente al gruppo di facinorosi. La difesa enfatizza appunto l’assenza di prove decisamente robuste, e questo è un punto cruciale nel tentativo di ribaltare la decisione del gup. La mancanza di un coinvolgimento diretto, un testimone oculare che possa confermare i presunti atti di violenza, risulta un elemento debitamente trascurato nella sentenza.
Un altro aspetto controverso emerge nella motivazione della sentenza, che è stata criticata per mancanza di logicità e coerenza. Gli avvocati sostengono, infatti, che il giudice abbia basato la sua decisione su opinioni soggettive piuttosto che su fatti oggettivi. È stato citato un fan minorenne, il quale avrebbe affermato che i video musicali di Baby Gang rappresentano un’incitazione all’odio contro le forze dell’ordine. Questa testimonianza, a detta della difesa, è stata utilizzata in modo eccessivo e collegata a una visione distorta della realtà, riducendo la complessità del caso.
In sostanza, la difesa di Baby Gang lamenta una valutazione eccessivamente restrittiva e basata su stereotipi. La questione non è solo legata alla responsabilità individuale di un giovane artista, ma si allarga a dibattiti più ampi sul ruolo dell’arte, della libertà d’espressione e dell’interpretazione delle azioni giovanili in un contesto di crescente tensione sociale. Il futuro di Baby Gang, ora, è nelle mani della giustizia, mentre i suoi fan attendono col fiato sospeso gli sviluppi della vicenda.