Niele Toroni, stimato pittore svizzero-francese, è al centro dell’attenzione con una nuova mostra che si terrà a Milano. La rassegna “Niele Toroni. Impronte di pennello n. 50“, organizzata dalla galleria A arte Invernizzi, si svolgerà dal 4 dicembre al 12 febbraio e offrirà una visione approfondita delle sue opere più significative. Toroni, noto per la sua attitudine anticonformista, non ama essere definito artista, preferendo il termine pittore. Questo evento rappresenta un’occasione impareggiabile per scoprire il suo lavoro e la sua evoluzione.
Niele Toroni, nato nel 1937 a Muralto, Locarno, e attivo a Parigi fin dai suoi vent’anni, è una figura che ha avuto un forte impatto nel panorama artistico contemporaneo. Il suo rifiuto di essere definito “artista” parla chiaro: Toroni si considera un pittore e nulla più. Infatti, nel 1967, durante una conferenza allo storico “Salon de la Jeune Peinture“, lui e alcuni colleghi come Daniel Buren e Olivier Mosset si sono opposti all’idea di ricondursi a un’etichetta definita. “Noi non siamo pittori”, hanno proclamato con una forte affermazione di principio, un gesto che ha rappresentato una reazione significativa contro le convenzioni artistiche del tempo.
Questa dichiarazione ha anticipato una riflessione profonda sulla pittura contemporanea, che negli anni ’70 ha visto molti artisti mettere in discussione il proprio ruolo e il significato stesso dell’arte. Secondo Giorgio Verzotti, il programma di Toroni ha segnato un cambiamento epocale: l’artista era ben consapevole del suo impatto critico e sperimentale. Da quel momento in poi, ha iniziato a creare opere che sfidavano le aspettative, applicando in modo regolare impronte di colore a intervalli di 30 centimetri con il suo amato pennello n. 50. Superfici di ogni genere, da tela a giornali e legno, sono diventate i suoi soggetti di esplorazione. Ogni lavoro presenta differenti tessiture e tonalità, mantenendo sempre quel rigoroso schema che caratterizza il suo stile.
A Milano, la galleria A arte Invernizzi celebra la carriera di Toroni, presentando una selezione variegata delle sue opere storiche e recenti. Tra le opere in mostra, figurano lavori creati dal 1965 fino a più recenti lavori risalenti agli anni 2000. Quella del 1965, intitolata “Omaggio a Paolo Uccello“, segna l’inizio di un percorso creativo che non ha mai smesso di sorprendere. L’album “Impronte di pennello n.50 a intervalli di 30 cm ‘A nous la liberté‘”, per esempio, mostra una nuova dimensione, in cui le impronte si susseguono in una sequenza intrigante, dimostrando la versatilità di Toroni pur all’interno di un apparente rigore.
Il suo approccio può sembrare semplice, ma è questo il segreto della sua maestria: “la semplicità diventa perfezione”. La mostra mette in evidenza come Toroni riesca a dipingere costantemente lo stesso quadro senza che questo appaia mai identico. Il collezionista che ha affermato che è possibile “dipingere per tutta la vita lo stesso quadro mantenendolo sempre fresco” sembra aver colto nel segno. Infatti, ogni impronta, ogni segno, porta con sé una storia unica, un ricordo di un gesto, di un momento nel tempo. La ripetizione di questo gesto ha dato vita a un linguaggio visivo ricco e complesso, capace di affascinare e comunicare una continua ricerca artistica.
All’interno della mostra, gli spazi di Invernizzi giocano un ruolo fondamentale: al piano superiore, le opere recenti sono presentate con una particolare attenzione alle interazioni spaziali. Le impronte di pennello applicate su fogli di cartone ridefiniscono le coordinate dello spazio, offrendo una nuova percezione del luogo e dell’arte stessa. Queste scelte curate non sono solo una questione estetica, ma invitano il visitatore a riflettere sul senso di ciò che sta osservando.
Scendendo al piano inferiore, l’attenzione si sposta sulle opere degli anni ’90 e Duemila. Qui, l’esplorazione della varietà diventa ancor più evidente, mentre i grandi lavori portano alla luce la sorprendente molteplicità degli esiti ottenuti. Anche se il gesto di Toroni rimane invariato, la sua espressione varia, dimostrando una capacità di evolvere e adattarsi nel tempo. Questo rimarca il fatto che, nonostante la ripetizione delle impronte, ogni opera racconta una storia diversa e sorprendente. La mostra di Milano invita a un viaggio non solo attraverso il tempo, ma attraverso l’essenza stessa di ciò che significa “pittare”, trasformando l’atto di creare in un’esperienza visiva ricca di significato e di emozioni.