Come venivano pagati in passato (www.quotidianoarte.it)
Si è spesso discusso delle retribuzioni di diverse categorie professionali, ma uno meno noto riguarda gli stipendi dei preti e vescovi.
Questi individui svolgono un ruolo fondamentale nella società attraverso le loro opere di carità, assistenza e sostegno alle comunità locali. In questo articolo, esamineremo nel dettaglio quanto guadagnano preti, vescovi e cardinali, oltre a esplorare la situazione economica di suore e frati, approfondendo le origini storiche e le attuali modalità di pagamento.
Storicamente, il sostentamento del clero italiano seguiva un sistema noto come “beneficiale”. Questo sistema, risalente al Medioevo, prevedeva che ogni incarico ecclesiastico fosse legato a un “beneficio” che includeva terreni e immobili. Questi beni garantivano un reddito sufficiente per sostenere il clero. Con l’Unità d’Italia nel 1861, molte proprietà della Chiesa furono confiscate, portando il governo a intervenire attraverso il “Fondo per il culto”. Questo fondo serviva a garantire un minimo vitale agli ecclesiastici, colmando le lacune create dalla perdita di beni.
Oggi, il modello del beneficio è stato superato. Gli stipendi di diaconi, preti e vescovi italiani sono ora gestiti dall’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero (ICSC), un ente sotto l’egida della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Il funzionamento di questo sistema è complesso e si basa principalmente sull’8 per mille delle dichiarazioni dei redditi, oltre a offerte liberali e rendite generate da istituti diocesani. Questo significa che il reddito del clero è in parte legato alla generosità dei fedeli e all’andamento delle donazioni.
Ma quanto guadagnano realmente i chierici nelle 226 diocesi italiane? Partiamo dai diaconi, che si trovano al primo gradino dell’ordine sacro. Un diacono guadagna tra i 1.200 e i 1.300 euro al mese, cifra paragonabile a quella di un parroco, ma variabile in base all’anzianità e ad altri fattori. Salendo di livello, i sacerdoti (preti) e i parroci presentano una distinzione importante. Un prete che non è parroco guadagna circa 1.000 euro al mese, cifra che può scendere a 750 euro per chi è all’inizio della carriera. D’altra parte, un parroco guadagna tra 1.200 e 1.300 euro.
Il salto economico diventa significativo con la promozione a vescovo. Un vescovo può guadagnare fino a 3.000 euro al mese, con una media compresa tra 1.300 e 1.500 euro. Sia i vescovi che i parroci non devono preoccuparsi delle spese di alloggio, risiedendo nel palazzo vescovile e nella canonica. Per quanto riguarda i cardinali, le loro retribuzioni oscillano tra 4.000 e 4.500 euro al mese, variabili a seconda che siano membri della Curia romana o vescovi diocesani. Prima delle misure di austerità introdotte da Papa Francesco nel 2021, tali stipendi erano più elevati, ma la riduzione del 10% è stata necessaria per bilanciare le finanze del Vaticano.
La situazione per suore e frati è ben diversa. In generale, non percepiscono uno stipendio regolare, a meno che non abbiano un’occupazione esterna, come quella di insegnante di religione. La loro scelta di vita religiosa implica un voto di povertà che limita le loro possibilità economiche. Sebbene non ricevano un compenso monetario, la loro vita è sostenuta dalla comunità religiosa di appartenenza, che si occupa delle necessità basilari.
Questa struttura retributiva all’interno della Chiesa cattolica italiana offre uno spaccato interessante della realtà ecclesiastica contemporanea, evidenziando le differenze di reddito tra i vari livelli gerarchici e il modo in cui le scelte di vita religiosa possono influenzare il benessere economico degli individui. Nonostante le sfide economiche, il clero continua a svolgere un ruolo cruciale nella società, contribuendo attivamente al welfare e alla coesione sociale.