La prima passeggiata virtuale in Africa si svolge a Igun Street, situata a Benin City in Nigeria. Questa via è molto più di un semplice percorso urbano: è il cuore pulsante delle corporazioni dei fonditori, rappresentando un centro artistico di straordinaria importanza. Qui si intrecciano storie e tradizioni legate all’arte dei metalli, che continuano a far parte della comunità. Un’epoca oscura, quella dell’occupazione coloniale, viene raccontata attraverso le immagini e i documentari, riportando alla mente la storia del 1897. In quell’anno, le forze britanniche conquistarono il Regno del Benin, saccheggiando e devastando il palazzo reale e disperdendo un patrimonio culturale di inestimabile valore.
Fino al 16 febbraio 2025, il museo Rietberg di Zurigo ospita l’esposizione “In dialogo con il Benin: arte, colonialismo, restituzione”, che esamina un passato complesso e carico di traumi politici e culturali. Questa iniziativa nasce da una sinergia di studiosi e curatrici sia residenti che in diaspora, come Josephine Ebiuwa Abbe e Solange Mbanefo. La rassegna mira a rendere visibili le dinamiche del saccheggio artistico, un atto che è sempre più simbolico, oltre che economicamente profittevole. Attraverso una serie di filmati e interviste con esperti di istituzioni museali e del Palazzo reale, la mostra tesse una narrazione attraverso molteplici voci, sottolineando i temi del colonialismo e della schiavitù. Non è solo una questione di arte, ma anche di identità, memoria e riconciliazione.
In questo contesto, alcuni artisti contemporanei hanno avuto l’opportunità di esporre opere che riflettono le complesse intersezioni fra passato e presente, riecheggiando i traumi storici e le necessità di “terapeutiche” restituzioni. Questi temi si ricollegano a esperienze vissute da popoli dispersivi, invitando alla riflessione su questioni di giustizia e identità culturale. La mostra si presenta quindi come un’importante opportunità per rielaborare la memoria collettiva, confrontando le esperienze traumatiche del passato con le sfide e le speranze del presente.
La curatrice dell’esposizione, Esther Tisa Francini, mette in evidenza un approccio pluridimensionale al colonialismo, orientato alla comprensione e al dialogo. L’arte del Regno del Benin viene così osservata attraverso la lente delle esperienze Edo, analizzando come una miriade di opere siano state sottratte durante il processo coloniale. Non si tratta solo di un’esposizione di oggetti d’arte, ma di uno strumento per esplorare le biografie di questi manufatti e la loro ricezione in Europa, dove hanno assunto significati commerciali. La mostra non teme di affrontare anche la storia delle collezioni africane in Svizzera, presentando immagini stratificate e uno stile espositivo che riflette una prospettiva de-coloniale.
È chiaro che i musei etnografici e simili potrebbero affrontare un periodo di riesame radicale, per evitare di mantenere visioni obsolete e potenzialmente offensive. Il museo Rietberg ha, in effetti, abbracciato un modello collaborativo, coinvolgendo artisti e curatori dei luoghi di origine. La centralità della ricerca sulla provenienza delle opere ci porta a valutare con maggiore attenzione le questioni di appropriazione e spoliazione. Queste indagini non solo illuminano le pratiche del passato, ma stimolano anche un approccio etico contemporaneo.
Un aspetto cruciale dunque è il tema delle restituzioni. Come il museo Rietberg avanza verso una pratica più giusta, si propone di approcciarsi al passato con una visione che favorisca la riconciliazione. L’accento sulla genealogia degli oggetti porta a comprendere non solo la loro estetica, ma anche il contesto morale e storico che le circonda. Le opere marcate come rubate sono contrassegnate con un segnale di “restituzione in dialogo”, un gesto simbolico che comunica l’intenzione di restituire ai legittimi proprietari queste opere, all’interno di una conversazione più ampia sulle reciproche responsabilità.
Ciò che si anima è un discorso che abbraccia il passato, ma guarda anche al futuro, creando un terreno fertile per nuovi approcci e relazioni. La ristoro della proprietà implica un chiarimento delle narrazioni storiche e, più importante, un impegno per un futuro e una comunità globali sostenibili. La mostra del Rietberg non si limita a offrirci un semplice racconto; si propone di sottolineare l’importanza del dialogo culturale e della pluralità di prospettive, favorendo un’educazione consapevole sul colonialismo e il suo impatto duraturo.
Rimanendo ancorati alla storia, i collettivi di artisti contemporanei esortano a conoscere il passato come premessa per edificare un presente più funzionale e giusto. La mostra di Zurigo offre così un palcoscenico dove il dialogo fra opere di epoche diverse diventa cruciale. Le installazioni contemporanee mirano a riflettersi sulle disparità presenti nella storia e a sfidare le strutture di potere che hanno caratterizzato il mondo del museo. Gli artisti, attraverso le loro creazioni, sono in grado di mettere in luce il rapporto fra memoria e identità, contribuendo a costruire un futuro pacifico, che onori il passato ma senza dimenticare le attualità necessitate di reinterpretazione.
Quest’incontro, quindi, non è solo un viaggio tra le opere, bensì un significativo passo verso la comprensione delle complessità storiche e culturali. La riflessione sulla “cancel culture” e sugli eventi contemporanei induce a un’analisi approfondita: le tracce lasciate dalla storia non devono essere occultate, bensì usate come occasioni per educare e riflettere. È mediante tali pratiche che si può sperare in relazioni più giuste e rispettose tra culture e popoli diversi.