E’ davvero possibile essere licenziati per le azioni che si compiono sui social network? L’avvenimento che ha avuto luogo in Spagna ci fornisce una risposta chiara
I social network hanno rappresentato una totale rivoluzione nell’ambito lavorativo mondiale. Sono molte le funzioni che possono garantire a vantaggio delle aziende, a partire dalla possibilità di promuovere i loro prodotti, raggiungendo rapidamente un numero di individui sempre crescente.
Ma svolgono un ruolo determinante anche nell’assunzione di nuovi lavoratori. Spesso, infatti, i contatti tra le aziende e i professionisti avvengono in rete, mediante piattaforme dove proporre e proporsi per lo svolgimento di un mestiere.
E’ importante sottolineare come i datori di lavoro prestano sempre più attenzione alle attività, ai post e ai profili social dei candidati, per cercare di comprendere meglio chi si pone loro davanti.
Questo può tradursi in situazioni spiacevoli, determinanti nella cessazione del rapporto lavorativo nei casi più gravi. Pertanto le pronunce delle Corti di merito in materia di illegittimità dovrebbero essere conosciute e consultabili da tutti, in modo da inquadrare nella maniera più giusta ed opportuna i diritti e i doveri dei dipendenti, tanto quanto quelli delle aziende.
Con lo sviluppo e la diffusione crescente dei sistemi digitali avvenuta negli ultimi anni, che ha inevitabilmente coinvolto anche il mondo del lavoro, la tutela dei dati personali è divenuta una problematica sempre maggiormente spigolosa. Sono le aziende in primis che devono assumere una piena consapevolezza, se necessario informandosi a dovere, in merito all’utilizzo dei nuovi sistemi digitali. Non è raro infatti – come già successo in altri Stati del mondo – il verificarsi di contenziosi strettamente correlati ad episodi che hanno avuto origine dall’utilizzo dei social network.
Le piattaforme di messagistica in particolare, come WhatsApp o Messenger, possono rappresentare una vera e propria arma a doppio taglio, soprattutto nell’eventualità in cui non garantiscano una protezione della privacy adeguata per i dipendenti di un’azienda. Già, perché potrebbero trasformarsi in una sorta di organo di controllo capace di catturare ogni mossa che avviene nel privato del lavoratore; mentre, in realtà, la riservatezza delle conversazioni è stata riconosciuta come diritto inalienabile.
Nel Regno Iberico è avvenuto un episodio le cui trame ricalcano perfettamente le eventualità e i rischi precedentemente citati. Un lavoratore presso un’impresa di servizi ospedalieri di Cadice è stato licenziato semplicemente per aver abbandonato il gruppo WhatsApp della sua azienda. Lo stesso ha motivato la propria scelta affermando di essersi rifiutato di partecipare alla chat collettiva poiché, sempre a detta sua, troppo invasiva.
La società che lo aveva assunto, a seguito del suo comportamento, ha optato per l’immediato licenziamento per giusta causa, in quanto la stessa ha dichiarato di non poter procedere all’organizzazione efficace dei turni di lavoro – la principale funzione a cui il gruppo era destinato – in assenza di un dipendente. Lo spinoso caso ha continuato a tenere banco fino a quando il sindacato spagnolo CGT ha denunciato una violazione dei diritti del lavoratore, che aveva ribadito come il gruppo sul social rappresentasse uno strumento di eccessivo controllo.