La Corte penale mette alla prova l’Europa: Israele sotto accusa.

È un momento cruciale, quello che stiamo vivendo, caratterizzato da una crescente violenza e tensioni internazionali che colpiscono direttamente civili innocenti. La recente decisione della Corte penale internazionale ha scatenato reazioni vehementi, specialmente da Tel Aviv e Washington, evidenziando le fratture sempre più profonde nella comunità internazionale. In questo contesto di sfide geopolitiche complesse, sorge l’interrogativo: quali saranno le ricadute di queste azioni sull’equilibrio delle potenze mondiali e sull’interazione tra gli Stati?

La Corte penale internazionale ha emesso dei mandati di arresto contro figure di spicco del governo israeliano, tra cui il primo ministro Bibi Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant. Questa scelta, prevedibile e attesa, ha sollevato un vespaio di reazioni indignate. Le autorità israeliane, infatti, non hanno perso tempo nell’etichettare la Corte come estremamente parziale e, per usare le loro parole, “antisemita”. Tale accusa, che viene spesso utilizzata dal governo israeliano contro chiunque critichi le azioni contro i palestinesi, si è così trasformata in uno strumento di deflessione, una strategia per deviare l’attenzione dai massacri che si sono verificati negli ultimi tempi.

Dall’ala destra del governo, l’eco di questo rifiuto passa a un messaggio chiaro: le forze israeliane continueranno a operare in riferimento alle loro strategie e obiettivi militari, senza alcuna considerazione per le decisioni della giustizia internazionale. Questo atteggiamento sottolinea una ceppo di autorità che non riconosce il potere della Corte penale e delle sue deliberazioni. Eppure, potremmo riflettere su ciò che ci si aspetta in risposta a tali situazioni. Con il mondo che osserva, le conseguenze di queste accuse si riverseranno su molti aspetti della politica internazionale.

Il rischio di isolamento politico per Netanyahu

Con l’emissione di questi mandati di arresto, Netanyahu e Gallant si trovano ad affrontare una nuova e spinosa realtà: il loro status potrebbe cambiare radicalmente. Essere considerati “latitanti” in ambito internazionale porta inevitabilmente a un isolamento politico. Esplorando i possibili scenari, è chiaro che i due leader dovranno ora calcolare attentamente i loro spostamenti, tenendo presente in quali Paesi rischiano di essere arrestati. Ciò significa che l’interazione e le relazioni diplomatiche potrebbero subire forti limitazioni.

Molti governi potrebbero districarsi nella loro politica estera, chiedendosi se vedere come interlocutori persone accusate di crimini contro l’umanità sia possibile. Questa nuova condizione di Netanyahu rimanda, chiaramente, al caso di Vladimir Putin, anch’egli inseguito dalla giustizia internazionale. Per entrambi, la corsa verso un’esistenza politica attiva comporta ora il rischio di essere accolti in un contesto ostile. L’implicazione di questa situazione non si limita a Israele e alla sua leadership, ma ha ripercussioni anche sul modo in cui gli alleati possono affrontare questi leader in una scena politica sempre più complessa.

Tensioni tra Stati Uniti, Europa e Sud Globale

Le reazioni da parte di Washington alla decisione della Corte dell’Aja non si sono fatte attendere e hanno già chiarito che la Casa Bianca condanna fortemente questo passo. Il governo americano ha etichettato la decisione come vergognosa, un chiarissimo segnale della sua ira contro qualsiasi forma di giustizia che possa mettere in discussione l’alleanza con Israele. Tale posizione dimostra come gli Stati Uniti non siano disposti a riconoscere l’autorità della Corte penale internazionale, creando ulteriori frizioni tra di loro e gli alleati europei che, invece, potrebbero avere intenzione di seguire i mandati di arresto.

La scena politica è, quindi, puntata a un possibile deterioramento dei rapporti transatlantici. Con l’eventuale ritorno di Trump al potere ci potrebbero essere rischi ancora maggiori. L’atteggiamento di alcuni Paesi dell’Unione europea, pronti ad abbracciare le indicazioni della Corte, appare in netto contrasto con la posizione di un’America che sembra restare attaccata a una visione unilaterale. Le divergenze di approccio tra questi blocchi possono amplificare le tensioni interne, potenzialmente minando un’azione comune nel futuro.

La sfida della credibilità dell’Occidente

Infine, la decisione della Corte di istituire mandati di arresto ha suscitato reazioni anche da parte dei Paesi del Sud Globale, che da tempo avvertono l’impatto del “double standard” praticato dall’Occidente. Quando si critica un Paese per violazioni dei diritti umani, mentre si chiudono gli occhi su comportamenti simili nelle nazioni alleate, si crea un clima di crescente sfiducia. I mondi asiatico, africano e latinoamericano iniziano a respingere l’immagine dell’Occidente come promotore di diritti umani e giustizia sociale.

Le decine di migliaia di vittime a Gaza e il deterioramento della situazione in Libano, sono diventati simboli per molti governi di come l’Occidente sia percepito: ipocrita. Se l’Europa desidera evitare di perdere credibilità in questo contesto e vuole continuare a essere vista come un attore forte e autorevole, deve ripensare le sue posizioni e il suo approccio, adottando una postura attiva e coerente nel rispetto delle decisioni della Corte. Rimanere uniti nell’impegno per i diritti umani è fondamentale, altrimenti il distacco dalla realtà e la mancanza di coerenza potrebbero trasformare l’Europa in un attore sempre più marginale sulla scena globale.

Published by
Ludovica Rossi