Il dramma di Aleppo: paura e carenza d’acqua – Cosa succede nella città martoriata?

La situazione in Siria continua a rimanere critica, con i recenti sviluppi che vedono i jihadisti prendere il controllo di Khan Sheikhoun. Questa località si trova lungo la vitale arteria stradale che collega Aleppo a Damasco e la crescente instabilità porta con sé enorme preoccupazione tra la popolazione civile. I timori si moltiplicano, le testimonianze parlano chiaro: le persone vivono nel terrore quotidiano, e la normalità che tanto desiderano sembra allontanarsi.

«Khayfin, abbiamo paura», è il grido di una docente che ha voluto rimanere nell’ombra, risiedendo nel sobborgo lussuoso di Mogambo. La sensazione di vulnerabilità è palpabile tra i residenti, una paura che cresce con l’intensificarsi delle tensioni. Sebbene, all’apparenza, la situazione possa sembrare sotto controllo, la mancanza di fiducia nei confronti delle forze armate è dilagante. Questi uomini, con le loro armi, hanno fatto breccia in città in un batter d’occhio, lasciando dietro di sé incertezze e timori per il futuro. Le cicatrici di anni di conflitti non si sono ancora rimarginate e la paura di bombardamenti, violenze e rappresaglie è radicata nella vita quotidiana delle persone.

Oltre alle dichiarazioni delle donne e degli uomini che vorrebbero semplicemente poter vivere in pace, emerge un quadro di sofferenza: la civiltà è vittima delle azioni di chi non conosce rispetto per la vita umana. Gli oltre cinquecento morti degli ultimi giorni non sono un buon segnale. Le famiglie si trovano a fronteggiare l’inevitabile cruda realtà: mancano beni primari come acqua, elettricità e medicinali. Ahmad, un farmacista di Aleppo, esprime il vuoto e la stanchezza della gente, evidenziando come sia essenziale trovare stabilità e sicurezza, lontani da nuovi cicli di violenza.

Una strategia di comunicazione efficace

Mentre i ribelli stendono la loro ombra sulle città, si stanno dando da fare per instaurare una strategia di comunicazione volta a guadagnare consensi tra i civili. Questo genere di operazioni mediatica è vitale per ottenere supporto, in particolare nelle comunità più vulnerabili come quella cristiana, sempre più preoccupata per il potere crescente di fazioni islamiche radicali. Per questo motivo, gli insorti formulano video “rassicuranti” dove coinvolgono donne cristiane, cercando di mostrare una faccia diversa della loro azione.

In un video condiviso sui social, una donna di circa sessant’anni di nome Wafa Amnayirji afferma: «Ora vogliamo prepararci per le festività, siamo felici che i mercati siano aperti». Tuttavia, le ombre della mancanza d’acqua si affacciano sulla conversazione: la donna con lei, evidenziando la precarietà della situazione, proclama che sono senza acqua da due o tre giorni. È un desiderio di normalità che risuona tra i membri della comunità cristiana, la quale, pur volendo sperare in un futuro migliore, è costantemente scossa da ansie e preoccupazioni legate all’influenza di gruppi militari.

Condizioni umanitarie in discesa

La realtà umanitaria in queste regioni è allarmante. Mohammed Ismail, fondatore di un’associazione impegnata ad aiutare orfani, racconta che le città stanno diventando “teatri di morte” e ogni giorno nuovi cicli di violenza costringono le persone a scappare. Gli sguardi impauriti si sprecano, poiché la vita a cui erano abituati è stata messa in discussione. Le persone non solo hanno perso la loro sicurezza, ma anche l’accesso ai servizi essenziali che dovrebbero garantire loro una vita dignitosa. Lavorando con bambini traumatizzati, il rischio che si abbatta un altro ciclo di violenza su di loro sarebbe un incubo insopportabile e senza fine.

La situazione è ancora più complicata per chi lavora nei settori della salute e dell’istruzione. Un medico, contattato attraverso WhatsApp che ha preferito rimanere anonimo, ha denunciato il bombardamento di ospedali e strutture di cura. La perdita di obiettivi civili, come un ospedale universitario a Idlib, fa parte di un strategia bellica che non guarda in faccia a niente e nessuno. A migliaia si tentano di fuggire dalle aree pericolose, ma con le frontiere chiuse, le soluzioni si riducono al lumicino.

La popolazione in Siria è stanca di vivere nell’incertezza e nel terrore, brama stabilità e un rientro alla vita quotidiana, ma il futuro appare offuscato e drammaticamente precario.

Published by
Ludovica Rossi