Abbiamo appena assistito a un verdetto che segna la nostra società, e le parole di Gino Cecchettin risuonano forte e chiare. Di certo non ci si può girare dall’altra parte: la Corte d’Assise di Venezia ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo, un passo giuridico che ha sollevato molte questioni. A far discutere non è stata solo la sentenza in sé, ma l’esclusione delle aggravanti, che ha dato vita a un acceso dibattito tra commentatori, esperti e cittadini. Ci troviamo di fronte a uno spartiacque, un’opportunità per riflettere su come affrontare la violenza di genere. La società è chiamata a farsi un esame di coscienza e il padre di Giulia, vittima di femminicidio a soli 22 anni, sottolinea la necessità di fare di più.
La giustizia ha preso una forma definitiva, ma la battaglia contro la violenza di genere è ben lungi dall’essere vinta. Cecchettin ha affermato: “È stata fatta giustizia ma dovremmo fare di più come esseri umani.” Queste parole rimandano a una prospettiva più ampia, dove la punizione allettante deve essere accompagnata da iniziative di prevenzione. La violenza non è solo un crimine, è un fenomeno sociale complesso che deve essere affrontato con impegno ed educazione.
Il concetto di giustizia, anche se arduo da mettere in pratica, non può fermarsi alla semplice condanna di chi commette atti violenti. È essenziale creare una cultura che educa all’amore sano, libero e reciproco. La lotta al femminicidio richiede, quindi, un impegno a lungo termine nella formazione dei giovani e nella sensibilizzazione delle comunità. Non si può cantare vittoria se non ci si occupa anche delle radici del problema. Infatti, una donna su tre in Europa ha subito qualche forma di violenza, e questo dato è allarmante. Non possiamo permettere che la nostra società subisca queste ingiustizie, e per questo abbiamo bisogno di ascoltare.
voci che si fanno sentire: un cambiamento in arrivo
In questi giorni si sono levate voci forti e chiare, voci che chiedono rispetto, fine della violenza e giustizia. La cronaca riporta le testimonianze di diverse donne che, occupando ruoli pubblici, hanno deciso di raccontare le loro esperienze. Da una consigliera regionale veneta a una giovane funzionaria comunale a Genova, il messaggio è semplice e diretto: “Anch’io.” Queste affermazioni sono il segno di un nuovo movimento, un #MeToo italiano, che sta prendendo forza proprio in vista della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre.
La volontà di rompere il silenzio è diventata contagiosa e sta incoraggiando molte donne a uscire dall’ombra, rifiutando di portare il peso della vergogna. Questo cambio di paradigma è necessario per affrontare la cultura della violenza e del silenzio che da troppo tempo impregna la nostra società. Le storie di dolore e sofferenza si intrecciano con quelle di resistenza e speranza. Alcune donne, come Francesca Ghio e Silvia Cestaro, hanno condiviso le loro esperienze di abusi fin dalla giovane età. Le loro parole danzano in un contesto pubblico che ora è pronto ad ascoltare.
parlando di libertà e cambiamento: il potere del dialogo
Antonella Veltri, presidente di D.i.Re., Donne in rete contro la violenza, sottolinea che lo spazio pubblico può e deve essere uno strumento di cambiamento. Questo concetto è particolarmente rilevante in un momento in cui le donne stanno iniziando a esprimere le loro esperienze in modi che non erano pensabili fino a poco tempo fa. Le testimonianze raccolte dai media sono importanti; non fanno solo notizia, ma contribuiscono a costruire una rete di sostegno e incoraggiamento per tutte coloro che ancora temono di esporsi.
Una trentenne ha condiviso con il pubblico una molestia subita in uno studio medico, affermando che “parlare è un po’ guarire.” Questa affermazione potrebbe sembrare semplice, ma tocca un punto cruciale: dare voce a chi ha subito abusi è un atto, in primis, di potere e liberazione. L’onda generata da queste storie trova una risonanza particolare mentre le donne stanno cercando di respingere un passato di silenzio. Una recente ricerca dell’Università Bocconi ha mostrato che il movimento #MeToo ha avuto un impatto significativo sulla diminuzione dei crimini sessuali, ma ha anche aumentato le denunce tardive. Questo segnale è importante, poiché dimostra come la comunicazione aperta possa portare cambiamenti tangibili.
rompere il silenzio: il tempo è adesso
Il momento del silenzio e della vergogna sta giungendo al termine. La storia di Gisèle Pelicot, che ha scelto di affrontare pubblicamente il suo calvario, è d’ispirazione. Ha rinunciato alla sua privacy perché la verità dovesse emergere. Le sue parole sono un forte richiamo alla responsabilità collettiva: non è lei a dover vergognarsi, ma coloro che perpetuano la violenza.
Non tutte le esperienze di abuso saranno portate in tribunale; alcune storie sono troppo lontane nel tempo o i perpetratori non sono più in vita. Tuttavia, è cruciale riconoscere la portata di questa violenza, che non è solo distruttiva per chi la subisce, ma degradante per chi la commette. È tempo di parlare e di non vergognarsi delle parole. La società deve unirsi per schierarsi contro questo male, per combattere pregiudizi e pratiche tese a silenziare, e bisognerebbe lavorare insieme per costruire una battaglia comune.
Alla luce di tutti questi segnali, l’ora del cambiamento non è mai stata più vicina. Si tratta di un’opportunità per tutti, per riflettere, agire e costruire un futuro migliore. Spetta a noi non perderci nuovamente, come comunità.