Pep Guardiola ha rilasciato delle dichiarazioni che ci fanno comprendere quali siano le conseguenze dell’enorme stress e delle continue pressioni
La salute mentale degli atleti professionisti è un dibattito forse troppo spesso messo da parte, che solo negli ultimi anni sta cominciando a ricevere la giusta attenzione, divenendo sempre più discusso. Si è generalmente abituati ad interpretare gli sportivi come persone completamente realizzate nella vita, con stipendi esorbitanti e che si guadagnano da vivere facendo ciò che amano.
Ma ciascuno di loro, esattamente come noi, può vivere delle situazioni personali o famigliari che arrivano seriamente a comprometterne la stabilità mentale, facendo sì che il problema si rifletta inevitabilmente sul campo da gioco.
Solo per fornire due esempi, campionissimi del calcio nostrano come Gianluigi Buffon o Adriano hanno impiegato diversi anni prima di esprimere e palesare definitivamente il malessere che gli ha logorati dall’interno per una parte della loro carriera, in anni in cui le discussioni in materia di salute mentale venivano interpretate ancora come un taboo.
Ma ci sono casi drastici in cui la pressione e le aspettative sono talmente elevate da divenire insostenibili, fino a portarti a credere che la fine della tua carriera sportiva debba coincidere con la fine della tua esistenza. E’ il caso di Jeremy Wisten, calciatore britannico nell’orbita delle giovanili del Manchester City che dopo esser stato scartato dalla squadra per cui militava ha deciso di farla finita a soli 17 anni.
L’aspetto mentale negli sport
Alla base di tali problematiche c’è l’inevitabile costante pressione che ciascuno sportivo professionista si trova costretto a dover fronteggiare. Il ruolo dell’allenatore in ogni sport è forse uno dei più delicati, perché oltre a gestire e preparare meticolosamente la prestazione del gruppo o del singolo, gran parte del loro lavoro risiede nella fiducia e nella motivazione che devono infondere ai propri giocatori. E nonostante screzi causati da differenze di vedute siano una costante, soprattutto negli sport di squadra, lo scettro resta sempre in mano all’allenatore, che dovrà mostrare anche le sue capacità di amministrare un gruppo di agonisti all’interno del quale ognuno vuole dire la propria e ristabilire gli equilibri vigenti.
Uno degli allenatori maggiormente interessanti da analizzare dal punto di vista della preparazione mentale è l’iberico Pep Guardiola, considerato uno dei tecnici migliori nella storia del calcio, indiscutibilmente in cima alla classifica dello scorso decennio. Le straordinarie vittorie raggiunte tra Barcellona, Bayern Monaco e Manchester City sono frutto non solo del lavoro in campo, ma anche dell’ossessione per la cura nei minimi dettagli, che al momento della partita devono essere perfettamente limati.
La reazione incontrollabile del tecnico
Quanto ne consegue è che, in caso di mancanza di risultati, come negli ultimi mesi trascorsi alla guida del Manchester City, l’allenatore spagnolo perda letteralmente la testa. Durante un’intervista post partita dopo aver pareggiato una partita di Champions League, Guardiola si è palesato dinnanzi ai microfoni presentando vistosi segni e graffi sul proprio volto. Interrogato in merito, ha affermato con totale trasparenza di essersi voluto fare male per sfogarsi ed esprimere la frustrazione vissuta a causa dell’impossibilità nel raggiungere il risultato sperato.
La dichiarazione ha lasciato tutti incredibilmente sorpresi, ma ha acceso i riflettori sull’importante e delicata tematica, troppo spesso dimenticata o sminuita, della salute mentale, che risente gravemente del grande stress e delle grandi responsabilità che si hanno. E così anche un monumento del calcio, inteso non come semplice sport, ma anche come filosofia di vita, è stato costretto a mostrarsi frastornato e abbattuto, inerme al cospetto delle sue preoccupazioni.